lunedì 28 dicembre 2015

Speculum veritatis

Mi domando spesso il motivo per cui il mio sguardo sul mondo, sulla realtà fenomenica, sia uno sguardo che indugia sui dettagli, che scompone l'insieme in minuscoli frammenti, dettagli significanti e autonomi.
Non riesco a reggere una visione d'insieme, rassicurante, nitida, drammaticamente perfetta.
Il mio occhio miope, se non corretto, mi offre una visone naturale imperfetta, sfuggente, macroscopica, senza infinito.

Ed allora, anche i mezzi di rappresentazione della realtà con cui abitualmente opero, sono "piegati" ad offrire visioni incerte, distorte ed inquietanti ad un tempo.
Gli obiettivi cine/fotografici, così splendidamente imperfetti rispetto al sistema occhio/cervello, offrono opportunità espressive sorprendenti, se non ci si ostina a mettere a fuoco le "cose", a ricercare nitidi specchi.
Allo stesso modo Maya. software magnifico e raffinatissimo, può creare mondi immaginifici, con esiti imprevedibili.
E' un uso perverso, lo riconosco, di mezzi pensati per riprodurre la realtà con quanta precisione possibile; eppure è proprio l'indagine sulle possibilità espressive dei mezzi di rappresentazione, a rendere così interessante il reale.

La mia non è arte, è rappresentazione del mondo, veritiera e soggettiva; espressione di un pensiero consapevole sulla realtà e sui mezzi per rappresentarla.
E questo pensiero, di riconoscere il Vero nella rappresentazione, rende meno noiosa la realtà.

lunedì 14 settembre 2015

Tributo a Steven Sasson

Secondo capitolo

Sempre più spesso si leggono sul web interventi critici di fotografia, nei quali la tesi espressa e sostenuta si risolve in un confronto, nelle forme di un giudizio di valore, tra la modalità analogica e quella digitale.
A favore, ovviamente, della prima.

Personalmente, non credo che tale impostazione dialettica abbia, per dirla alla Benjamin, consistenza filosofica. Siamo semmai in un territorio critico che spazia tra il pensiero utile all'evacuazione mattutina e il radical/lateral sinistro buono per le pagine del supplemento D di Repubblica (magari da pubblicare accanto ai consigli su come evacuare senza sforzo).

A sostegno della tesi che l'Analogico lo fa meglio, improbabili aggettivi e perifrasi contro il Digitale: freddo, plasticoso, senza poesia, senza qualità, impersonale, inconsistente.
E la convinzione che il residuo di materia che l'Analogico si trascina dietro, sia garanzia di qualità espressiva e formale.
Del suo essere, o divenire, opera d'arte.

E' cosa, tangibile, fallibile, fragile, umana, affettivamente unica, e quindi è espressione artistica.
Il processo inverso a quella reificazione dell'opera d'arte che proprio Benjamin nel '36 aveva demonizzato, a favore della riproducibilità della fotografia.
Trascorsi circa ottant'anni, la fotografia analogica, da espressione rivoluzionaria capace di scardinare i modi d'essere dell'opera d'arte, in virtù della sua riproducibilità, della perdita della sacralità della cosa, la fotografia analogica si diceva, reinventa sé stessa e si ammanta proprio di quell'aura che aveva sancito la decadenza di un'idea di arte, borghese, convenzionale.

Che questa sia un'epoca di grande confusione e  incertezza appare evidente, ma che ciò si risolva in una analfabetizzazione di massa, complice internet che diffonde ogni pensiero, in ogni istante, in ogni luogo, diventa quasi insopportabile.
Il Fare diffuso, è terapeutico, senza dubbio.

Il Pensare, no, non è terapeutico. 



 

lunedì 10 agosto 2015

Io sono un(') artista....?

Come si inizia un blog?

"Era una notte buia e tempestosa...", la prima citazione è d'obbligo per Snoopy, che sempre, genialmente, ci ricorda come scrivere un incipit.

Ed anche: "Signorina, veniamo noi con questa mia addirvi una parola (...)" è perfettamente a tema per appropinquare, appalesandolo, un qualsivoglia ragionamento su ciò che è e ciò che sembra, sulla coincidenza, o meno, tra forma e metodo, e sulla catastrofe che una, eventuale, dicotomia tra i termini produce.

A cominciare bene, non dovrebbe mancare neppure un discorso sul metodo, e quì ci soccorre, come sempre, il pensiero rivoluzionario contenuto nelle Tesi di filosofia della storia di Benjamin, il terzo lato della triade che, benevolmente, governa e guida i pensieri di chi scrive.

Io sono un(') artista

Io sono un(') artista?

Per quanto mi riguarda non sono un'artista; sono un'architetto con formazione artistica.
Ciò che produco, ha a che fare con il modo con cui si manifesta l'architettura: lo spazio. Lo spazio vivo del giardino come lo spazio numerico, altrettanto reale, generato dalla interazione tra processori, software e interfaccia.
Comporre spazi, per dare forma al visibile
L'iterazione di un metodo, che si traduce in una forma, il cui esito è ad un tempo assoluto e trascurabile. 
Perché ciò che conta veramente è il processo in sé, visibile in trasparenza nel compimento temporaneo delle opere realizzate.

Al di là di facili mode ed ancor più facili esiti, di giovanili ardori tramutati in vibranti tensioni artistiche, il pensiero corre, alla soglia dei quarantacinque anni,  a le sudate carte  che nel tempo si sono accumulate, ed alle difficoltà a confrontarsi con una cultura ormai ridotta a slogan, a parole che si ripetono in ogni contesto, svuotate di contenuto: visual, city, digital, urban, performance, liquid.
La pochezza delle ricerche espressive contemporanee si riflette, o è il riflesso, di una pochezza critica e di committenza, sempre alla ricerca di fonti di acqua calda, incapace di creare un dibattito, soltanto dedita alla produzione di arte.

L'arte, svincolata dal processo creativo, risolta in una ricerca espressiva esclusivamente improntata al fare, al realizzare la prima idea sorta in mente, scelleratamente, si spegne nel dilettantismo di chi la pratica, di chi, narcisisticamente, cerca in essa motivo di realizzazione.
Un mezzo per assurgere alla fama.

Scarsa capacità tecnica, mediocre preparazione culturale, pressoché nulla coscienza critica.

Io sono un'artista?


Mah, forse è meglio voltolare un sasso..